Il 22 Giugno ha avuto luogo a Milano, presso la sede Doxa, l’evento ASSIF Quando le immagini fanno bene al portafoglio, ma non all’organizzazione, introdotto dal Presidente ASSIF Luciano Zanin.
Ancora una volta l’Associazione Italiana Fundraiser si è interrogata su immagini, parole, toni delle campagne di raccolta fondi, tema che anche AOI, l’Associazione delle Organizzazioni Italiane di Cooperazione e Solidarietà Internazionale, sta affrontando.
Questa la domanda: qual è il confine all’utilizzo d’immagini pietistiche/tristi/colpevolizzanti/crude, soprattutto di minori, per comunicare una causa e raccogliere fondi?
L’interrogativo è posto da anni, nonostante l’esistenza di codici Assif, EFA, IAP, Carte di Trento, Roma e Milano.
Perché?
Perché queste immagini funzionano = portano soldi = concorrono al finanziamento di progetti = aiutano i beneficiari = salvano proprio quei bambini malati/tristi/in pericolo rappresentati in alcuni annunci stampa, TV direct response, mailing, banner, direct emailing, poster, materiali face to face.
Perché le campagne di raccolta fondi non devono fare informazione, ma “vendere una causa” in pochi secondi.
E allora? Ecco serpeggiare un pensiero in occasione di dibattiti a sfondo etico: “Non se ne esce. La solita polarizzazione di vedute: etici vs markettari; idealisti vs pragmatici; palloni gonfiati vs risolutori di problemi. Poi tutti a casa, felici e contenti.”
Il 22 Giugno, però, ci sono state le premesse per un dibattito diverso, a partire dall’elenco dei relatori che ha incluso Fortuna Ekutsu Mambulu, Direttore dell’African Summer School e Responsabile Comunicazione e Sviluppo di Redani, la Rete della Diaspora Africana Nera in Italia.
Un anno fa REDANI ha lanciato la campagna “Anche le immagini uccidono”, per denunciare l’inappropriato utilizzo delle immagini dei bambini africani da parte di alcune ONG e per sottolineare l’inadeguata rappresentazione dell’Africa.
Da quel momento, almeno in Italia, le organizzazioni che si occupano di cooperazione internazionale, le agenzie
e i professionisti della raccolta fondi sanno di essere osservati e invitati a cambiare registro nelle loro campagne
di comunicazione.
Sarà la volta buona? Forse sì.
Ha dato inizio al dibattito Nino Santomartino, rappresentante di AOI e direttore creativo di ideacomunicazione.
“Bisogna fare bene il bene” è la sintesi del suo discorso. Ha parlato Nino padre, prima ancora che Nino professionista, desideroso di non fare nulla di cui sua figlia potrebbe vergognarsi un giorno.
Da sinistra: Vincenzo Guggino, Fortuna Ekutsu Mambulu
La parola è poi passata a Fortuna Ekutsu Mambulu. Questi i punti chiave del suo discorso:
– la rappresentazione dell’Africa da parte di alcune ONG sembra ferma all’epoca post coloniale, al periodo delle “missioni civilizzatrici” dell’Occidente;
– le immagini di minori sofferenti dovrebbero essere utilizzate solo a fronte di un consenso informato e di un processo di comunicazione partecipata, nel quale l’ONG informa adeguatamente i familiari del tipo di campagne che intende fare, dei modi e media pianificati;
– gli stereotipi contro i quali la rete REDANI sta lottando sono presenti, oltre che nelle campagne di varie ONG, anche nel cinema.
Alcune responsabilità, ha continuato, sono però da imputarsi agli africani:”Non ci siamo davvero impegnati a favorire un processo di cultura alta”.
La parola è poi passata a Massimo Coen Cagli, Direttore della Scuola di Roma Fund-raising.it.
Da sinistra: Carlo Mazzini, Massimo Coen Cagli
Fra i concetti espressi, due mi hanno molto colpita.
“Il fundraising è un fine o un mezzo? L’Africa è un fine o un mezzo? (…) Il problema di fondo sta proprio qui: i soggetti delle immagini utilizzate, cioè i nostri fratelli africani e quindi l’Africa, non fanno parte dei mezzi ma dei fini. Questo tipo di comunicazione invece avvalla un’operazione scorretta: ridurre al livello dei mezzi e delle tattiche l’Africa, gli africani, i loro problemi sociali. Se così è, vuol dire che la raccolta fondi diventa un fine, che le ONG diventano un fine. E questo rappresenta un grosso freno al processo di costruzione di una vera strategia di cooperazione allo sviluppo, moderna, illuminata e progressista.”
“Recentemente, il grande sociologo Zigmunt Baumann ha evidenziato il paradosso di una società e di una comunicazione esclusivamente emozionale, basata su semplici connessioni tra soggetti e non su legami.
Egli contrappone la semplice emozione con la nozione di sentimento. Il sentimento è la capacità e l’atto del sentire, di avvertire impressioni esterne o interne; di produrre una coscienza e una consapevolezza dei propri atti. Mentre le emozioni producono connessioni deboli, il sentimento crea legami forti. Il sentimento quindi riconduce un’emozione alla ragione per costruire una relazione. Ora credo che tutti noi sogniamo di avere donatori fedeli nel tempo e quindi legati a noi e non semplicemente connessi.
Un altro spunto di riflessione è arrivato da Vincenzo Guggino, Segretario Generale di IAP, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, del quale ha spiegato il funzionamento. Nel corso del suo intervento ha parlato sia di campagne sociali bloccate per motivi facilmente comprensibili, sia di casi di difficile valutazione e applicazione normativa. Ha poi aggiunto che chiunque può segnalare una campagna, come avviene spesso nel caso di pubblicità che strumentalizzano il corpo delle donne.
Vincenzo Guggino
Ha chiosato il dibattito Nino Santomartino, dicendo che nel creare campagne di raccolta fondi basterebbe rispettare l’articolo 46 del codice IAP, di cui è “innamorato”.