Lavoro con le parole da sempre e da 20 anni per dare voce a progetti di comunicazione, sensibilizzazione e raccolta fondi.
So quanta influenza possono esercitare nella creazione dell’immaginario collettivo, delle opinioni e nello stimolare azioni, reazioni, donazioni.
Se è vero che “un’immagine vale mille parole”, una sola parola può dividere e concorrere alla distruzione fisica e psicologica, oppure unire e contribuire alla costruzione e allo sviluppo.
Due esempi facili facili?
Una parola barriera è “clandestino”: quante volte giornalisti, politici e opinionisti televisivi usano questo termine, spesso in modo strumentale ed errato, fomentando rabbie e generando esclusioni?
Una parola ponte è “grazie”, il vocabolo più importante per chi comunica per raccogliere fondi, e non solo.
Pensiamoci: è una delle prime parole che i genitori ci insegnano quando siamo bambini, per farci esprimere in modo semplice e potente la nostra riconoscenza.
Da tempo ci sono iniziative che invitano a fare attenzione alle parole, dalla campagna “Mettiamo al bando la parola clandestino, e non solo” a “Parlare civile” di Redattore Sociale fino alla recente Parole_O_Stili, nata per invitare a un uso responsabile della comunicazione in rete, visto il crescendo di violenza, bufale, cyberbullismo.
A quest’ultima iniziativa ho contribuito con quello che è diventato l’articolo 5: “Le parole sono un ponte. Scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri.”