L’esperienza di Blandina Stecca, Responsabile Unicef del Progetto “Child Disability”.
D: Blandina Stecca, 3 anni trascorsi a Pechino per conto di UNICEF, corretto?
R: Sì, per l’esattezza 2 anni e mezzo. Sono arrivata a Pechino nel Febbraio 2006 e sono rimasta fino alla fine dell’Agosto 2008. Il giorno in cui ho preso l’aereo per tornare in Italia, il nuovo aeroporto di Beijing era colorato dalle divise sportive e dalle bandiere degli atleti olimpionici in attesa d’imbarcarsi e rientrare a casa seguiti dall’eco di “One World One Dream”!
Sono stati due anni e mezzo molto interessanti, durante i quali ho potuto constatare in prima persona i profondi cambiamenti che questa nazione sta vivendo.
La Cina, con la sua storia, la sua cultura, la sua grandezza è un immenso paese, oggi sicuro e pieno di sé. Tuttavia vive al suo interno forti contraddizioni. Il paese ha una lunghissima storia, è passato dall’impero alla odierna repubblica, che si definisce ancora socialista, ma in verità l’ideologia del “Servire il popolo” sembra essere stata rimpiazzata, usando un’espressione di Tiziano Terzani, da quella di “Arricchirsi è glorioso”. L’economia continua a correre ad un ritmo che impressiona ed entusiasma, le grandi città cinesi vantano oggi centinaia di nuovi grattacieli, Pechino stessa, nel relativamente breve periodo da me trascorso lì, è stata teatro di forti cambiamenti. Interi quartieri di case tradizionali (hutong) sono stati rasi al suolo, al loro posto sono sorte nuove strade, nuove sopraelevate, nuovi shopping malls, shopping arcades, shopping centers. Tuttavia, mentre il paese in generale si sviluppa, una non trascurabile parte della popolazione si impoverisce e perde quella garanzia di minima sopravvivenza che aveva un tempo. Pensiamo, per esempio, ai migrant workers: più di 140 milioni di persone che, lasciate le famiglie nelle campagne, sono migrate in città. E’ una massa enorme di operai che vaga in cerca di lavoro a giornata. Pensiamo alle zone più arretrate del paese dove le riforme di Deng Xiaoping sembrano non essere mai arrivate, quelle che non hanno impressionanti tassi di sviluppo e dove nessuno va ad investire.
Inoltre, la liberalizzazione del sistema economico, che ha creato forti condizioni di disuguaglianza, non è stata seguita da una pari liberalizzazione del sistema politico ed il Partito Comunista continua a mantenere il potere.
Prestando servizio in un’Organizzazione Internazionale come UNICEF, ho dovuto fare i conti con tutta questa realtà nel mio lavoro quotidiano, nella pianificazione ed esecuzione dei progetti, nel coordinamento con le controparti governative, nelle attività di sensibilizzazione sui diritti dell’infanzia.
D: Di che cosa ti occupavi?
R: Ero la responsabile del progetto Child Disability (Disabilità infantile). Il progetto aveva due principali componenti: 1. Legislativa. Abbiamo revisionato politiche, leggi e standard nazionali relativi alla disabilità in conformità alla nuova Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità. L’obiettivo era di rafforzare il sistema legislativo cinese sul tema della protezione delle persone con disabilità e creare una specifica parte sul diritto dei minori con disabilità che mancava totalmente. 2. Comunicazione. Abbiamo elaborato una campagna multimediale finalizzata a promuovere i diritti dei bambini con disabilità e prodotto quattro pubblicità progresso. Lo slogan della nostra campagna era: I Know I can too (Wo zhi dao, wo ye xing). Con questo slogan volevamo sottolineare il messaggio di empowerment su cui si basa lo human rights based approach.
Per creare le pubblicità progresso abbiamo lavorato in particolar modo con un famoso politico cinese sordo-muto, con Tai Lihua, ballerina cinese molto popolare anche lei sordo-muta, e con l’attrice sordo-muta americana vincitrice del premio Oscar Marlee Matlin. La cosa più emozionante per me è stato pensare, programmare, eseguire, gestire il progetto con un gruppo di bimbi con disabilità, veri protagonisti del nostro intero lavoro.
Durante il mio primo anno all’UNICEF mi sono anche occupata dei progetti Violence Against Children (Violenza Contro i Bambini) e Child Protection System and Network (Sistemi e Reti per la Protezione dell’Infanzia). Ho avuto così la possibilità d’occuparmi direttamente del contributo che la Cina portava allo United Nations Secretary General’s Study on Violence Against Children di Paulo Pinheiro e di collaborare da vicino con la rete europea di Ombudsperson for children (Pubblico tutore dei minori), in particolar modo con l’ufficio dell’Ombudsperson norvegese.
D: Chi erano i beneficiari dei tuoi progetti?
R: I beneficiari ultimi dei miei progetti erano i bambini più vulnerabili: bambini con disabilità, bambini di strada, bambini a rischio di abusi e violenza. In generale però, tutti i bambini cinesi sono stati i veri beneficiari. Penso, per esempio, alle attività di sensibilizzazione e formazione sui loro diritti, che come Consulente UNICEF ho organizzato e svolto. Esse sono state rivolte a funzionari governativi con competenze nel settore delle politiche per l’infanzia, ad operatori del sistema scolastico, del sistema socio-sanitario e alle famiglie stesse.
D: Di quali nazionalità erano i membri dello staff UNICEF Pechino?
R: All’interno degli “uffici paese” di UNICEF, lo staff si divide in locale e internazionale. Nel nostro ufficio a Pechino (l’unico ufficio di UNICEF in Cina) lo staff locale, quindi cinese, è la maggioranza, più o meno una sessantina di persone. Lo staff internazionale, una ventina di persone in tutto, è molto vario in termini di nazionalità. Il mio capo era giapponese; sono poi rappresentate l’Inghilterra, la Germania, la Norvegia, gli U.S.A., l’India, il Nepal, le Filippine, l’Australia e anche l’Africa è presente con il Senegal e la Nigeria.
D: I progetti da te seguiti erano stati ideati insieme a personale locale?
R: Tutti i progetti UNICEF vengono pianificati, gestiti e monitorati insieme alle controparti governative. Ogni 5 anni UNICEF ed il Governo cinese stipulano il cosiddetto: Country Programme Action Plan between the Government of The People’s Republic of China and UNICEF (CPAP). Nel CPAP vengono riaffermate le linee guida che regolano la cooperazione tra il Governo cinese e UNICEF e vengono descritti i programmi e i progetti, gli obiettivi e i risultati che si sono, di comune accordo, decisi di perseguire. Il CPAP attualmente in vigore copre il periodo 2006-2010.
D: Lavoravate insieme a ong locali?
R: In Cina non esistono veramente organizzazioni NON governative. Anche se sulla carta si chiamano ONG, sono nella realtà tutte organizzazioni semi-governative. Per il mio progetto ho lavorato molto, per esempio, con la China Disabled Persons’ Federation, l’organizzazione semi-governativa per la promozione e protezione dei diritti delle persone con disabilità.
D: Come si pone UNICEF in una realtà che promuove la “politica” del figlio unico?
R: La politica del figlio-unico, introdotta nel 1979 da Deng Xiaoping per contrastare il fortissimo incremento demografico del paese, è sicuramente una riforma molto discussa e controversa perché la sua stretta applicazione è stata spesso causa di abusi di diritti umani. La stessa Cina l’ha rivista negli anni novanta dato che tale politica nel lungo periodo si è dimostrata negativa a livello economico e sociale.
Come detto prima, UNICEF, lavorando nel paese sulla base di un Accordo di Cooperazione con il Governo Cinese (The Basic Cooperation Agreement – BCA), pianifica e progetta tutti gli interventi di cooperazione insieme al Governo. Questo vuol dire che, ogni volta che UNICEF propone un programma, è necessario che il Governo lo approvi affinché prenda forma. Dunque, ciò che UNICEF può concretamente fare in una tale realtà è cercare di contrastare gli effetti negativi che la politica del figlio-unico ha prodotto od aggravato, come, per esempio, lo sbilanciamento tra il numero dei maschi e delle femmine. Per descrivere questa particolare situazione in cui si trova UNICEF, che deve cooperare con il Governo cercando di mantenere dei buoni rapporti ed allo stesso tempo perseguire i suoi obiettivi di protezione e promozione dei diritti dei bambini, c’è una colorita metafora a cui lo staff di UNICEF in Cina ricorre molto: “You can’t try to trap the dragon, otherwise the dragon will kill you. You have to DANCE with the dragon and CHANGE the music!”
D: Mi risulta che in alcune aree della Cina sia ancora diffusa la pratica di “privilegiare” la nascita dei figli maschi, diciamo così. E’ vero?
R: Sì, è vero. Se consideriamo il dato della “sex ratio at birth” (il rapporto tra i due sessi alla nascita, vale a dire il numero dei nati maschi per ogni 100 femmine), troviamo che nel più popolato paese della terra esso è molto più alto rispetto alla media mondiale. Mentre infatti questa è di circa 105 o 106 maschi per ogni 100 femmine, in Cina il rapporto è attualmente di 117 a 100, per elevarsi addirittura a 130 in alcune zone, specialmente rurali. Queste cifre mettono in luce una preoccupante tendenza alla discriminazione prenatale. Malgrado lo sviluppo economico e l’ampia opera di ammodernamento, la tradizionale radicata preferenza per il figlio maschio spinge la famiglia a rifiutare, con la pratica dell’aborto, il feto femminile, una volta che il sesso del nascituro sia stato stabilito. Nelle campagne si usa spesso dire, quando nasce una figlia, che “è venuta a prendere il posto del figlio”, nel senso che occupa il posto dell’unico o dei due bambini consentiti.
La discriminazione a cui sono sottoposte le bambine non si limita solo al momento della nascita. Recenti ricerche e dati sulla mortalità infantile, sullo stato di salute e sullo stato nutrizionale, sull’accesso all’assistenza sanitaria, sull’istruzione e sul mercato del lavoro, lasciano intendere che le bambine non godono degli stessi vantaggi e benefici dei loro coetanei maschi. Le bambine vengono condotte raramente in ospedale o presso centri sanitari per essere curate, le loro malattie vengono spesso sottostimate e la spesa per i farmaci loro destinata è assai ridotta. Inoltre, soffrono spesso per la scarsa alimentazione e per carenze nutrizionali.
Le ragioni che spiegano la preferenza per il maschio piuttosto che per la femmina sono varie, alcune di natura culturale altre invece molto pratiche. Mi permetto di rimandare chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, ad un mio articolo uscito nella rivista di UNICEF Italia “Il MondoDomani” dal titolo “Le Figlie Valgono quanto i Figli”: http://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3020
In esso analizzo anche le conseguenze di instabilità sociale che tale trend ha già innescato, quali il rapimento di donne, il trafficking, la prostituzione e presento il progetto che UNICEF ha attuato per contrastare la discriminazione nei confronti delle bambine, The Girls Initiative Project. L’obiettivo generale del progetto era di modificare i modelli correnti di socializzazione tra i due sessi e i relativi stereotipi, al duplice fine di accrescere la consapevolezza del governo, dell’opinione pubblica e delle famiglie e cercare di eliminare la discriminazione nei confronti delle figlie, rendendole protagoniste attive della vita della società.
D: Analfabetismo, sfruttamento, discriminazioni di genere, malnutrizione: quali sono i problemi più gravi riscontrati da UNICEF in Cina?
R: È difficile dire quali siano i problemi “più gravi” in Cina, dare la priorità ad alcuni ed indicare come meno importanti altri. Questo soprattutto perché la Cina racchiude al suo interno realtà molto diverse fra loro: città e campagna, zone costiere dove, per esempio, si riscontra tra i bambini il problema dell’obesità e zone dell’interno dove i bambini invece muoiono ancora per malnutrizione. Inoltre in Cina “i numeri contano” (the numbers matter). Per esempio, the HIV Prevalence Rate in Cina risulta essere dello 0,05%. Potrebbe sembrare poca cosa, ma proviamo a proiettarlo su un paese così popolato come la Cina. Scopriamo allora che la Cina, dopo l’India, ha il numero più elevato di persone che vivono oggi con l’HIV in Asia: ben 650 mila. Ancora: la Cina ha 83 milioni di persone con una qualche forma di disabilità, numero questo che è pari alla popolazione della Germania. Si capisce allora quanto sia urgente proteggere e promuovere i diritti delle persone e dei bambini con disabilità e combattere la discriminazione di cui sono vittime. Tornando al gender discrimination di cui abbiamo parlato prima, è stato valutato che entro il 2020 la Cina avrà 40 milioni di uomini in età da matrimonio in più rispetto alle donne e questo aggraverà, come già sottolineato, crimini e problemi sociali quali il rapimento di donne/bambine e la prostituzione.
D: Lavorano numerose ONG internazionali in Cina?
R: Sì, ce ne sono molte e lavorano su diversi temi. Per quanto riguarda i diritti e la protezione dell’infanzia, sono presenti in più di venti provinces (corrispondenti alle nostre “regioni”) Save the Children UK e SOS Kinderdorf.
Molte organizzazioni internazionali si occupano di tutela ambientale. Per una lista completa delle ONG internazionali presenti in Cina, consiglio di consultare il seguente link: http://www.chinadevelopmentbrief.com/dingo/
D: Quali ostacoli hai incontrato personalmente e come li hai affrontati?
R: Direi che il maggiore ostacolo incontrato sia stato quello di relazionarsi con una cultura così diversa dalla mia, con un modo di pensare che segue completamente altri schemi. Li ho affrontati con tanta sensibilità, capacità d’ascolto e spirito d’osservazione. Senti, percepisci, ascolti, osservi, cerchi di metterti in sintonia con ciò che è “altro”, con ciò che è diverso. Il risultato finale è un grande arricchimento che si traduce in un’azione più efficace e una maggior solidità dei progetti.
D: Hai qualche suggerimento da dare a chi volesse andare in Cina a svolgere un lavoro come il tuo?
R: Direi appunto, tanta sensibilità, capacità d’ascolto e spirito d’osservazione. Capacità diplomatica nel trattare con le controparti governative. Una forte motivazione da tenere sempre viva per i momenti più difficili (i momenti in cui, per esempio, ti viene da chiederti perché sei lì e non a berti un caffè con gli amici seduto comodamente sotto il sole ai tavolini di una piazza italiana!).
La Cina è un paese dalle numerose contraddizioni, ma è anche un paese molto affascinante, da capire, da scoprire…e forse si può seguire Tiziano Terzani che “non avendo mai visto la Cina come un grande mercato, ma come una diversa esperienza di civiltà”, ha speso anni a cercare di capirla, finendo per averci “una storia che è stata anche una storia d’amore”.
blandina_stecca@yahoo.com
blandinaunicef@gmail.com