Marie Anne Molo parla del suo Paese e dei progetti che vuole realizzare.
Marie Anne Molo è una giovane camerunese che sta studiando a Roma. Diplomata in servizio sociale alla LUMSA e laureata in economia dello sviluppo presso la Pontificia Università Gregoriana, sta ultimando il Master in Management delle Organizzazioni del Terzo Settore all’Angelicum, la Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino.
A lei chiediamo di parlarci del suo Paese e dei progetti che ha per il futuro.
D: Italia – Camerun. Quali differenze ti hanno più colpita?
Prima di tutto vorrei ringraziare per l’interesse nei confronti miei e, specialmente, del mio Paese.
Tra l’Italia e il Camerun esistono tantissime differenze geografiche, culturali, politiche e socio-economiche. Quelle che mi hanno più colpita? Dal punto di vista sociale l’Italia ha più infrastrutture e un sistema dei trasporti di miglior qualità, ospedali efficienti, scuole professionali e istituti tecnici, facoltà d’ingegneria e di medicina.
Il Camerun non ha lo Stato sociale, ovvero lo Stato dei diritti come l’Italia, che garantisce assistenza sanitaria ai propri cittadini, la pensione sociale a chi non ha versato i contributi per condurre una vita dignitosa, e l’assistenza sociale che offre un minimo vitale a chi è in difficoltà economiche per sopravvivere. In Camerun, invece, la maggior parte della popolazione vive senza alcun reddito e non può accedere ai beni di consumo
né ai servizi pubblici.
Sul piano economico, nonostante la crisi attuale, i settori primario, secondario e terziario dell’economia italiana sono ben sviluppati rispetto al Camerun, ancora fermo al primo, poco sviluppato. Noi non produciamo niente, vendiamo ciò che la natura ci offre: il legno, il petrolio, ecc. In Italia esistono banche nazionali che favoriscono lo sviluppo delle piccole imprese. In Camerun, invece, abbiamo banche straniere che non hanno interesse a promuovere l’imprenditoria locale. Quanto al sistema politico, posso dire che l’Italia è un Paese democratico rispetto al Camerun: chi vince le elezioni si sforza di rispondere alle attese degli elettori, mentre in Camerun questo non avviene.
L’Italia ha più possibilità, opportunità e mezzi per risolvere i suoi problemi e affrontare le emergenze. Il Camerun, invece, dipende molto, per non dire totalmente, da aiuti esteri. Noi non siamo proprio capaci di costruire qualcosa da soli. Non lo dico io, lo dicono i fatti. Ogni cosa che il Camerun vuole realizzare, sia essa un ponte, una strada, una scuola, un ospedale, un qualunque tipo di impianto, ha bisogno di una “cooperazione” con qualche Paese straniero. Un esempio di questo tipo è la recente costruzione del palazzo dello sport sorto a Yaoundé. E’ stata possibile grazie al sostegno economico dato dalla Cina ai lavoratori: cinesi, non camerunesi.
D: Italia – Camerun. Quali sono i punti in comune?
Nonostante la distanza geografica, l’Italia è vicina al Camerun per quanto riguarda la cultura dell’accoglienza, la solidarietà e la generosità nei confronti di chi ha bisogno o è privo di protezione sociale. Il Camerun è il primo Paese africano che ha accolto e continua ad accogliere tutti i profughi e i rifugiati provenienti dai Paesi africani colpiti da guerre civili.
Altri punti in comune sono il dinamismo della popolazione e le grandi città cosmopolite che si vedono anche in Camerun. La multiculturalità, che caratterizza l’Italia, è anche visibile in Camerun. Sia in Italia sia in Camerun, inoltre, è vivo il senso della famiglia, dell’umorismo, della fierezza e appartenenza nazionale. Gli italiani, come i camerunesi, hanno relazioni sociali che rispecchiano il senso d’umanità. Condividiamo la fede cattolica e l’amore per il successore di Pietro, il Papa.
D: I 3 aggettivi che meglio definiscono il tuo Paese.
Pacifico. Multiculturale. Ospitale.
D: In Italia gli abitanti sotto i 15 anni sono il 14%; in Camerun il 41,8%. Che prospettive hanno i giovani del tuo Paese?
In Camerun la maggioranza della popolazione è composta da giovani. Sono loro il futuro, ma lo saranno veramente solo se ci impegniamo, oggi, a lavorare in questa direzione. In caso contrario i nostri giovani avranno gravi problemi ad affrontare questo mondo globalizzato e in continuo mutamento. Purtroppo, per come stanno le cose in Camerun, posso dire che i giovani hanno poche prospettive.
Con la privatizzazione delle imprese pubbliche in Camerun, agevolata dalla Banca Mondiale e dal FMI (Fondo Monetario Internazionale), i genitori sono costretti a pagare tutto per far crescere i figli. Così tanti giovani provenienti da famiglie povere non possono frequentare le scuole superiori, per l’impossibilità di pagare le tasse scolastiche e universitarie. Chi invece riesce a pagarle, studia male senza materiale didattico né biblioteche pubbliche. Non parliamo delle nuove tecnologie: i giovani camerunesi non hanno accesso all’alfabetizzazione informatica. Non esistono laboratori informatici nemmeno nelle scuole pubbliche, quindi nessuno sa usare il computer. Il problema spinoso sta nell’impossibilità di trovare lavoro per chi, con tanti sacrifici, è riuscito a concludere gli studi. Fra i laureati camerunesi, alcuni potrebbero creare delle imprese private, ma non possono contare su un sistema bancario come quello italiano, che concede crediti ai giovani per agevolare attività imprenditoriali. Tutti sperano di poter lavorare nella pubblica amministrazione, ma è possibile solo a chi ha raccomandazioni o può pagare “bustarelle”. Fortunatamente la Chiesa cattolica, con il lavoro dei missionari, dei preti e dei religiosi diocesani, sta facendo molto per sostenere i giovani.
D: In Italia gli abitanti sopra i 60 anni sono il 25,3%; in Camerun il 5,4%. Che prospettive hanno le persone con più di 60 anni del tuo Paese?
In Camerun non ci sono tante persone anziane. Da noi l’aspettativa di vita è più breve rispetto all’Italia, dove invece si è allungata grazie ai progressi della medicina. In Italia, inoltre, esistono molte strutture sociali per gli anziani. Il tentativo di alcune ONG internazionali di introdurre in Camerun le case di riposo non ha mai portato frutti duraturi e quindi queste strutture non funzionano, perché secondo la nostra cultura la persona anziana deve vivere con i figli o con un altro membro della famiglia allargata. Gli anziani vivono con i loro familiari e sono interamente a loro carico, poiché il governo non ha nessuna politica sociale per gli ultra sessantenni. Quelli che avevano lavorato nel settore pubblico o privato ricevono una pensione. Quelli che invece avevano svolto un lavoro autonomo come i contadini, le casalinghe e i liberi professionisti, non ricevono nulla, perché da noi non esiste la pensione sociale. Così muoiono prima, soprattutto in caso di malattia, poiché la famiglia non riesce a pagare le cure mediche. Nonostante ciò, c’è un’altra realtà positiva per le persone con più di 60 anni. In Camerun abbiamo nonni che fino a 80 anni lavorano ancora nei campi o giardini di casa. Molto spesso sono loro che cucinano e si prendono cura dei nipoti, quando i genitori vanno a lavorare. In conclusione i nostri anziani, a differenza di quelli italiani, nel nome della nostra cultura e tradizione sono accuditi dai parenti e quindi possono godere dell’affetto e del calore dei loro cari. Non soffrono di solitudine né vengono sradicati dal loro ambiente, per andare nelle case di riposo.
D: Quali sono gli errori più comuni fatti dai mezzi d’informazione italiani e internazionali quando parlano del tuo Paese?
In linea di massima siamo grati ai mezzi di comunicazione italiani e internazionali, perché hanno il coraggio di dire ciò che di negativo succede in Camerun o in altri Paesi africani. Quando lo fanno i giornalisti nazionali, molto spesso finiscono in prigione o sottoterra. Per contro, è difficile che i mezzi d’informazione italiani e internazionali parlino degli aspetti belli e positivi del mio Paese e dell’Africa in generale. Non danno informazioni quando accade qualcosa di buono. Non vogliono mai mostrare al mondo il vero volto dell’Africa. Si compiacciono di presentare al mondo intero l’immagine di un’Africa malata, disperata e agonizzante, ma ciò non è vero. L’errore più grave è quello di non far conoscere al mondo i bisogni e i problemi veri del continente africano, offuscando la sua ricchezza inestimabile per fare credere che l’Africa è povera. Ogni africano o persona straniera che ha visitato l’Africa sa bene che essa è la parte più bella e ricca del pianeta, potenzialmente. Altro errore per noi doloroso è vedere il Camerun vittima di esagerate generalizzazioni sull’Africa bisognosa di soccorso e aiuti umanitari. Invece di parlare del Camerun nello specifico, i mezzi di comunicazione italiani, per ignoranza o per ideologia, preferiscono trattare l’Africa come se fosse un singolo Paese, non un grande e vario continente. Quindi, quando i mass media comunicano, dicono che in Africa è successo questo e quest’altro senza specificare bene di che parte dell’Africa si tratta. Altra cosa per noi intollerabile è il modo d’informare l’opinione pubblica italiana sul Camerun: vengono sottolineati solo i lati negativi, riducendo tutta la nazione a malattie, AIDS, fame, guerre, povertà, corruzione e così via. Ma il Camerun non è così. Il mio Paese è più di questo, ha degli aspetti positivi che meritano di essere conosciuti. Il dramma è che la gente semplice rimane con questa idea negativa, frutto di una menzogna. Credo che ogni paese abbia lati negativi e positivi, pregi e difetti. Anche noi possiamo prendere delle fotografie di alcune povertà italiane e farne pubblicità. Ma non lo facciamo perché occorre rispettare la dignità di ogni singola persona. Per noi la persona vale per quello che è e non per quello che ha. Vale più la qualità dell’essere che la quantità. Per questo noi e gli altri africani non chiediamo mai ad un italiano, per esempio: quanti anni hai? Invece, un italiano al primo incontro, a volte senza nemmeno salutarci, ci rivolge questa domanda.
D: In Camerun il 70% dei lavoratori è dedito all’agricoltura. Sono arrivate anche nel tuo Paese le sementi OGM? Se sì, che cosa ne pensi?
Effettivamente l’agricoltura rappresenta la principale attività economica del Paese. Anche i funzionari del governo, durante le vacanze, si dedicano all’agricoltura. Lo facciamo per necessità e anche per tradizione. Coltivare la terra fa parte della nostra identità culturale. Purtroppo gli OGM di mais sono arrivati da noi per opera di chi sostiene queste politiche internazionali. Penso che le sementi OGM non siano buone, poiché danneggiano la natura. Sono certa che gli OGM non avranno successo in Camerun e rimarranno estranei alla nostra cultura, perché noi pratichiamo ancora un’agricoltura tradizionale. I nostri agricoltori non sono né formati né pronti all’agricoltura moderna. Loro lavorano secondo i sistemi dei contadini, inoltre non hanno i mezzi finanziari per dotarsi di attrezzature agricole moderne. Ad ogni modo, io sono per lo sviluppo sostenibile, quindi per l’agricoltura biologica, perciò sensibilizzerò gli agricoltori del mio Paese a non usare questi semi e a sviluppare la nostra agricoltura secondo la nostra cultura e bisogni, non su imitazione, vale a dire passando da un sistema locale a uno globale.
D: Presente in Italia. Futuro in Camerun?
Il presente in Italia mi ha permesso di capire e d’imparare tanto, d’acquisire le competenze per poter contribuire allo sviluppo del mio Paese. Sono grata agli italiani che mi hanno offerto l’opportunità di venire a studiare in Italia e che mi sostengono. Oltre a me ci sono altri africani arrivati qui per studiare e apprendere quanto a noi necessario. Siamo venuti, come dice Cheik Hamidou Kane nel suo romanzo “L’aventure ambigue”, a “imparare a legare il legno al legno”, cioè, la tecnica-scienza.
Sicuramente mia famiglia e gli amici si aspettano che io torni a vivere e a lavorare a Yaoundé, la capitale del Camerun, ma non sanno che cosa è cambiato nel mio modo di pensare. Adesso posso confrontare la storia culturale del mio Paese con quella italiana e rilevarne i reciproci aspetti positivi e negativi, al fine di costruire il mio futuro combinando le caratteristiche positive di entrambi ed eliminando quelle negative. Il futuro in Camerun sarà dunque vissuto in uno sforzo continuo ad evitare gli errori commessi sia dal Camerun sia dall’Italia nella storia del loro sviluppo.
Considerando il mio presente e l’esperienza vissuta in Italia, voglio progettare il mio futuro in Camerun secondo un’inversione di varie tendenze.
Vorrei passare dal benessere inteso come quantità dell’avere al benessere definito come qualità dell’essere e fondato sul vivere il tempo come uno spazio da riempire non di numeri, ma di valori e principi quali la sobrietà, l’essenzialità e il potenziamento del capitale sociale.
Vorrei che, come a Roma, anche nel mio villaggio sperduto in mezzo alla foresta equatoriale fossero presenti impianti idrici ed elettrici, servizi sociali e mezzi di comunicazione (telefono, internet, televisione, stampa, ecc.).
Che fosse possibile viaggiare con mezzi di trasporto pubblici.
Che le abitazioni avessero luce elettrica e acqua potabile.
E vorrei privilegiare un’esistenza all’aria aperta, invece che chiusi in palazzi anonimi.
Via dallo smog, verso aria naturale.
Via dall’agricoltura prevalentemente chimica, verso quella biologica.
D: Che progetti hai per il tuo Paese?
Questa è una bella domanda. Più che di progetti, parlerei di sogni. Se fossi italiana direi progetti, perché qui ci sono enti locali e organismi a cui presentarli per ottenere i fondi. Noi non abbiamo queste opportunità, perciò sogniamo sempre, sperando che i nostri sogni vengano un giorno realizzati da parte di chi ne ha la possibilità. I miei sogni si riassumono in poche parole: fare nascere con la mia gente la vita nella nostra comunità rurale, che ha assistito impotente all’esodo dei giovani dalle zone rurali a città vicine e lontane, in cerca di opportunità per migliorare la qualità della vita. Il primo sogno è essere aiutata dagli italiani a portare acqua e luce alla popolazione della mia comunità rurale (Engab), in quanto catalizzatori di sviluppo socio-economico. Ho bisogno di pozzi d’acqua e di pannelli solari per produrre energia solare in tutti i 30 villaggi della mia comunità. La ditta svizzera, con sede in Camerun, che scava i pozzi, mi ha inviato un proforma per un pozzo, che ammonta a 6.000.100 FCFA, circa 9.147 Euro. Ecco dunque la mia richiesta per l’acqua:
N° Villaggi Prezzo/Pozzo/Euro Totale (Euro) 30 9.147 274.410
Per i panelli solari ho bisogno di un ingegnere volontario del settore, che mi faccia un progetto da presentare ai produttori italiani, affinché mi aiutino. Il secondo sogno è costruire sempre nella mia comunità un “Centro culturale di cooperazione internazionale allo sviluppo rurale”, e per questo ho bisogno di fare cooperazione e gemellaggio con Enti locali, ONG, Associazioni, Istituti e Facoltà di Agraria e di Economia aziendale, che mi possano aiutare a formare i giovani. Il terzo sogno è di costituire giuridicamente un “Consiglio di sviluppo comunitario” formato da tutti i leader dei differenti villaggi e autorità civili e religiose della comunità, con una sede operativa e legale. Impegnare queste persone significa favorire la nascita del protagonismo dello sviluppo locale. I camerunesi in particolare, e gli africani in generale, devono camminare con le loro gambe. E’ un modo di auto-responsabilizzarli, aumentando la fiducia in sé e l’autostima, al fine di sconfiggere la mentalità della dipendenza e del fatalismo che rende gli africani spettatori del loro sviluppo.
D: Pensi di collaborare con ONG internazionali una volta nel tuo Paese? Se sì, perché? Se no, perché?
Non è un caso se sto frequentando il corso di Master in Management delle Organizzazioni del Terzo Settore. Tra il primo e il secondo, ho scelto come mio campo di lavoro il terzo settore. Vorrei fondare e dirigere una ONG locale per promuovere lo sviluppo delle comunità rurali in Camerun. Per realizzare ciò servono grandi capacità e spirito di collaborazione. Non credo di farcela da sola, ho bisogno di esperti e di supporto tecnico-professionale, economico e tecnologico, e sono certa che lo potrò avere solo collaborando con le organizzazioni del Terzo settore che sono al servizio della persona e dei suoi diritti. L’azione delle ONG è stata ed è fondamentale nello sviluppo delle collettività rurali in Camerun. Sono le ONG ad impegnarsi a rimuovere la povertà di massa creata dalla Banca Mondiale e dal FMI (Fondo Monetario Internazionale) con le loro politiche di aggiustamento strutturale basate sulla privatizzazione dei diritti fondamentali dei cittadini come la sanità, l’istruzione, l’acqua, la luce, e sulla liberalizzazione del settore agricolo, che ha portato lo Stato a disimpegnarsi dal dovere di concedere sussidi agricoli ai coltivatori. Collaborerò volentieri con le ONG internazionali, anche perché il vero sviluppo comincia nel cuore e che credo che i membri delle ONG abbiano un cuore aperto, il che è già un’attitudine positiva. Lavorerò, quindi, in partenariato locale ed estero.
D: Per la realizzazione del tuo progetto pensi di impiegare personale locale o anche internazionale?
Per la realizzazione del mio progetto, più che usare il termine “impiegare” personale locale, parlerei di “coinvolgere” la gente nel progetto. L’area dove lavorerò è una zona rurale, per cui tutta la popolazione sarà coinvolta nella realizzazione del progetto, a beneficio dell’intera comunità. Non vorrei elaborare progetti di sviluppo comunitario da sola, a tavolino, come fossero una ricetta per me efficace nel risolvere i problemi della mia gente. Giocherò solo il ruolo di un facilitatore, che agevoli il processo di presa di coscienza e responsabilità all’interno di un percorso di sviluppo locale. Sarà la comunità stessa l’attore e il promotore del proprio sviluppo. Cercherò di stimolare e di coinvolgere tutte le fasce sociali in un processo di sviluppo partecipativo, evitando loro di subire progetti in cui non si riconoscono e che non rispondono ai loro bisogni reali.
Il fallimento di tanti progetti in Africa è da attribuire alla non partecipazione dei destinatari agli interventi di sviluppo. Il mio processo di sviluppo, pur essendo endogeno, governabile da attori locali e basato sulla valorizzazione delle risorse e potenzialità locali, non chiude la porta all’esterno. Mi piacerebbe impiegare del personale internazionale, poiché so che l’iter di sviluppo incontrerà ostacoli per la mancanza di competenze sul fronte organizzativo e tecnico-professionale. Dovrò migliorare la qualità delle risorse umane a disposizione. Ma, lo confesso, all’inizio sarà difficile perché non avrò mezzi finanziari. Vista questa difficoltà, mi avvallerò di personale proveniente dal Terzo settore, promuovendo gli scambi culturali, la cooperazione tecnica e tecnologica attraverso diverse forme di partnership, di gemellaggio e di volontariato per la realizzazione del progetto di sviluppo a cui parteciperà anche la popolazione locale. Se non troverò personale qualificato tramite questo canale, tenterò di trovare fonti di finanziamento per pagarmi le competenze di cui avrò e avremo bisogno.
D: Hai mai visto campagne di raccolta fondi (spot, stampa, web, mailing) a favore del tuo Paese? Se sì, che cosa ne pensi?
Sì, ho visto volantini, spot in TV e ho anche partecipato a campagne di raccolta fondi per il Camerun. Faccio quattro considerazioni.
Primo: si lede la dignità della persona. Le campagne si concentrano solo sugli aspetti negativi del mio Paese e ne enfatizzano la miseria per raccogliere fondi, senza parlare al pubblico della ricchezza umana, culturale e naturale. Non è onesto. Sarebbe invece interessante evidenziare le potenzialità del mio Paese e spiegare le difficoltà dei camerunesi nel metterle a frutto.
La seconda è che non sempre il denaro raccolto arriva a destinazione. L’esperienza mi ha fatto capire che, in alcuni casi, una parte del denaro arriva ai beneficiari, in altri non arriva per niente.
La terza è che chi riceve i fondi si presenta ai beneficiari non come un intermediario, ma come il vero benefattore, senza dire da dove arrivano, cioè senza parlare della solidarietà e della bontà dei donatori.
La quarta considerazione è che chi fa campagne raccoglie i soldi per una causa specifica e poi, una volta in possesso dei fondi raccolti, li impiega per altre finalità, decidendo come amministrarli al meglio secondo altre logiche. Ho visto raccogliere fondi per le adozioni a distanza, per assicurare ai bambini rate scolastiche, materiale didattico, cure sanitarie e abbigliamento. Ai bambini, però, arrivavano solo le rate scolastiche. Non voglio accusare solo gli italiani o persone di altri Paesi, ci sono anche camerunesi e africani che si comportano in questo modo. Invito quindi tutti gli italiani che donano fondi a una causa in Camerun, a verificare se il progetto per il quale hanno dato soldi è stato realizzato. I nostri due Paesi non hanno mai litigato, quindi rinforziamo la nostra amicizia e sbarriamo la strada ai disonesti. Mi preme dire che il settore della raccolta fondi ha bisogno di una formazione etica continua, perché se manca la base etica, le campagne ruotano solo intorno al proprio tornaconto. E così, i poveri restano sempre poveri, poiché vengono strumentalizzati per risolvere la crisi finanziaria di chi finge di lavorare a loro favore. Senza principi etici, una campagna di raccolta fondi per il Camerun diventa solo puro marketing, promozione senza scrupoli attraverso foto di africani disperati, ripresi in uno stato di povertà assoluta per incassare denaro ed aumentare il potere d’influenza. Senza l’etica, le foto dei poveri del Terzo Mondo diventano solo un’opportunità di mercato da sfruttare e su cui speculare per ottenere guadagni e profitto.
D: Human Rights Based Approach versus Human Rights Based Approach: che cosa ne pensi?
I diritti umani sono una delle lotte più antiche, da quando esiste l’uomo sulla faccia della terra. Ci sono da sempre, pur in diverse epoche e luoghi, due fazioni opposte: chi crede di avere ogni diritto e chi non ne ha alcuno. L’approccio basato sui diritti umani pone l’uomo al centro di ogni politica o strategia di sviluppo. L’uomo con la sua dignità è un valore assoluto. Si tratta di un approccio fondamentalmente umanistico, che sancisce il diritto dell’uomo a svilupparsi. Il diritto presuppone anche il dovere. L’uomo ha diritti e doveri. E pone il problema del soggetto che onora il rispetto, la tutela, la promozione e la realizzazione dei propri diritti. Le responsabilità sono incentrate su due livelli: i titolari dei diritti e i corrispondenti doveri. Le problematiche dello sviluppo sono trattate come questione di obblighi e diritti, piuttosto che come carità o beneficenza. Ogni persona dev’essere aiutata a decidere in prima persona, ad esprimere le proprie capacità e potenzialità fino ad assumersi la responsabilità del proprio destino, diventandone così padrona. Inoltre, dal diritto del singolo si arriva al diritto di ogni popolo. Allora, se tutti i popoli hanno dei diritti, in un’ottica di cooperazione internazionale allo sviluppo i Paesi sviluppati devono favorire lo sviluppo dei Paesi meno sviluppati. Le politiche di cooperazione allo sviluppo devono rispecchiare la responsabilità di tutelare il diritto dei popoli a svilupparsi, senza affermare interessi legati a scelte personali ed egoistiche. Al contrario, devono mettere i popoli nelle condizioni di partecipare al loro sviluppo sociale, culturale, economico e politico, senza sfruttarli né impoverirli. E mettere l’accento sul dovere che il terzomondista ha d’impegnarsi nei processi economici, sociali, culturali e politici che influenzano la sua vita. In questo senso, lo “Human Rights Based Approach” sostiene esplicitamente i diritti umani e gli obblighi, e si distingue da un approccio motivato dalla compassione verso i destinatari passivi degli interventi di cooperazione. La partecipazione diventa, allora, il principio fondamentale dello sviluppo umano e la persona è vista non più come ricevitore passivo, ma come agente attivo dei cambiamenti. Questo principio dovrebbe portare, per esempio, a riconoscere il diritto degli africani a svilupparsi, evitando azioni neocolonialiste in Africa. I camerunesi hanno diritto di decidere e di prendere la parola in prima persona riguardo le soluzioni ai mali che affliggono il Camerun. Ciò vale per tutti i Paesi africani. Come i cittadini occidentali hanno diritto al benessere, così lo hanno anche i popoli del “Terzo Mondo”. Quest’approccio permette di evitare la promozione di uno sviluppo come quello attuale, che ha prodotto e sta producendo troppe disuguaglianze sociali tra “Nord e Sud del mondo”.
Lo “Human Rights Based Approach” versus “Charity Based Approach” è un mezzo per garantire la libertà e lo sviluppo di ogni essere umano e di ogni popolo. Pone la non discriminazione, lo sviluppo equo, la partecipazione e l’inclusione di ogni persona, compresa quella con disabilità.
D: Quest’anno la Convenzione ONU sui Diritti dei Bambini compie 20 anni. Che cosa ti impegni a fare per i minori del tuo Paese?
In Camerun, come in tutta l’Africa, a volte i minori sono costretti a lavorare per aiutare i loro genitori, perché questi ultimi, non avendo un reddito stabile, non sono in grado di rispondere a tutti bisogni dei figli. Ho lavorato anch’io, ma non mi sentivo sfruttata dai miei genitori, anzi, il mio contributo portava serenità e felicità all’interno della famiglia.
Chi vede la situazione dall’esterno, senza conoscere le realtà del Camerun e dell’Africa in generale, definisce questi casi come forme di lavoro minorile. Chi vive in una nazione dove esiste il Welfare State parla di sfruttamento dei minori.
Ad ogni modo, la Convenzione mi fa pensare al diritto dei bambini ad una vita serena. Devo dire che noi Camerunesi amiamo i bambini. Un villaggio, un quartiere della città senza bambini non esiste da noi e non so se esisterà nei prossimi anni. Sono consapevole che il futuro del mio Paese appartiene ai minori di oggi, per questo vorrei impegnarmi a creare occupazione, promuovendo cooperative di vari tipo, affinché le famiglie possano avere un reddito stabile per assicurare il benessere ai loro figli. M’impegnerò affinché i minori del mio Paese possano accedere facilmente all’istruzione, alla formazione di una coscienza civica e morale, ai valori della nostra cultura tradizionale, al patriottismo, al culto del lavoro per auto-realizzarsi e al bene comune attraverso l’educazione e la promozione di attività socio-culturali e ricreative. Lotterò per migliorare la qualità della vita dei bambini, evitando loro di bere l’acqua inquinata delle sorgenti, dei fiumi e delle piogge, causa principale di malattie infettive e mortalità. Farò questo anche per liberare i bambini dalla fatica di trasportare l’acqua portando pesanti recipienti sulla testa: ad oggi sono loro a sacrificare tempo, istruzione e momenti di divertimento per portare acqua alla famiglia. Sono convinta che quando avranno a casa acqua e luce, potranno studiare tranquillamente e renderanno di più a scuola.
E-mail: marieanne.molo@gmail.com